“Il rumore del tempo” di Julian Barnes: l’arte come resistenza silenziosa

“Si credeva che il tempo fosse il guaritore; ma l’esperienza mostrava che non guariva nulla.
Al massimo, modificava la ferita.”

In un mondo che premia la velocità e la sovraesposizione, leggere Il rumore del tempo è un atto controcorrente. Non solo perché Julian Barnes ci invita a rallentare e ad ascoltare — davvero, profondamente — ma perché ci conduce in un territorio dove la vita interiore di un uomo diventa teatro di un dramma più grande: quello dell’arte contro il potere, del silenzio contro l’imposizione, della coscienza contro la sopravvivenza.

Con questo romanzo pubblicato nel 2016, Barnes si conferma narratore sofisticato e intelligente, capace di unire rigore storico e delicatezza psicologica, in un’opera che non è solo un ritratto di un artista, ma anche una meditazione universale su cosa significa essere umani sotto pressione.

 La sinfonia di una vita spezzata (ma mai vinta)

Il protagonista, realmente esistito, è Dmitrij Šostakovič, uno dei più importanti compositori del Novecento. Ma questo non è un romanzo biografico in senso stretto: non racconta la cronologia degli eventi, ma la cronologia delle paure.

L’intera narrazione si costruisce attorno a tre momenti chiave della vita del compositore:

  • 1936 – Dopo una recensione anonima (ma chiaramente voluta da Stalin) che definisce la sua musica “caos invece di musica”, Šostakovič teme per la sua vita e passa le notti ad aspettare l’arresto.

  • 1948 – Deve piegarsi alla propaganda e firmare dichiarazioni contro colleghi e contro se stesso.

  • 1960 – È costretto a entrare nel partito comunista, tradendo l’ultimo baluardo della sua autonomia.

Ma il cuore del libro non è nel “cosa accade”, bensì nel cosa accade dentro di lui. Il tormento di un uomo che cerca disperatamente di non tradire la propria musica, pur sapendo che, per farlo, dovrà più volte tradire se stesso.

Una scrittura che pensa

Julian Barnes non racconta, riflette. La sua scrittura è meditativa, fatta di pensieri che si rincorrono come le variazioni su un tema musicale. Non ci sono grandi colpi di scena, ma uno scavo continuo nella mente del protagonista: ironico, stanco, lucido.

A volte autoassolutorio, a volte impietoso con se stesso, Šostakovič si presenta come un uomo normale travolto da una Storia che pretende martiri o complici, e non tollera sfumature.

Barnes evita l’agiografia e ci offre un personaggio profondamente umano, pieno di paure ma anche di dignità nascosta, fatta di piccoli gesti di resistenza. Non c’è eroismo visibile in lui, eppure in quella passività forzata, in quel resistere restando in vita, si nasconde una forma alternativa di coraggio.

 Il silenzio come suono interiore

Il titolo, tratto da una frase del poeta Osip Mandel’štam (“L’unica cosa che il tempo lascia dietro di sé è il rumore”), diventa metafora centrale: il rumore del tempo è il fragore assordante della Storia che vuole coprire ogni voce individuale.

Ma l’arte — suggerisce Barnes — può durare oltre quel rumore. La musica, la vera musica, sopravvive.

Anche se il compositore è costretto a scrivere brani “di Stato”, anche se la sua firma compare in lettere propagandistiche che non ha scritto, il nucleo della sua arte resta intatto, nascosto, custodito.

È in questo equilibrio tra compromesso e fedeltà che Barnes costruisce la tensione morale del romanzo. Perché non si tratta solo di sopravvivere, ma di cosa resta vivo in noi, quando tutto intorno ci chiede di spegnerci.

Lettura come esperienza etica

Il rumore del tempo non è un libro per tutti. Non perché sia difficile — il linguaggio di Barnes è limpido, elegante, misurato — ma perché richiede attenzione, disponibilità, silenzio. È un romanzo che va ascoltato più che letto, come una lunga partitura che si muove sotto la superficie delle parole.

È anche, in fondo, una riflessione sul nostro tempo. Su quanto siamo disposti a cedere per sentirci al sicuro, su quanto contano davvero la libertà, la coerenza, la memoria.

In epoche meno crudeli, ma non meno affamate di consenso, la figura di Šostakovič ci interroga:

Saremmo disposti a rischiare per difendere ciò in cui crediamo?

O preferiremmo, come lui, attendere con la valigia pronta e il cuore sospeso, sperando che il peggio non arrivi stanotte?

Perché leggerlo ora

Il rumore del tempo è un libro perfetto per l’estate. Non quella delle spiagge affollate, ma quella dei pomeriggi lenti, delle finestre aperte, del vento che muove le tende. È una lettura da assaporare con lentezza, come si ascolta un quartetto d’archi: non per cercare risposte, ma per sentire le domande vibrare più a lungo.

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