Shivaismo Tantrico del Kashmir: la via della realtà vissuta
Nel silenzio delle valli himalayane, tra i fiumi e i templi del Kashmir medievale, fiorì una delle tradizioni più sottili e affascinanti della spiritualità indiana: lo Shivaismo Tantrico del Kashmir. Non si trattava di un sistema ascetico o di una religione dogmatica, ma di un cammino esperienziale, raffinato, immediato, che mirava a un’unica cosa: riconoscere ciò che già siamo.
In questo lignaggio, la coscienza non è qualcosa da conquistare. Non serve diventare illuminati. Serve solo ricordare, con la stessa dolcezza con cui si riconosce un volto familiare dimenticato nel tempo. «Nel momento in cui ti accorgi di essere consapevolezza, tutte le pratiche cessano» scrive Abhinavagupta.
La filosofia come esperienza incarnata
Lo Shivaismo del Kashmir si sviluppò tra l’VIII e il XII secolo, in un tempo in cui il pensiero indiano era attraversato da profonde riflessioni sulla natura della realtà, del corpo, del tempo. Mentre il Vedanta proclamava il mondo come illusione (maya), e il Buddhismo Mahayana lo svuotava di essenza, questa scuola proponeva un’altra via: tutto è reale, perché tutto è Shiva. Il corpo, le emozioni, le relazioni, i sensi, il piacere… ogni cosa è già piena della presenza divina.
La coscienza assoluta non è un’entità lontana o inaccessibile. È ciò che pulsa in questo stesso istante, in questa lettura, in questo respiro. È una vibrazione sottilissima chiamata spanda, che tutto pervade. Nel Spanda Karika si legge:
«Anche nella più lieve vibrazione del desiderio, là dimora l’Assoluto.»
La realtà non va quindi negata, ma ascoltata. Non va trascesa, ma abitata fino in fondo, con il corpo, con i sensi, con il cuore aperto. Non c’è nulla da fuggire. Solo da riconoscere.
Pratyabhijna: riconoscere ciò che non è mai stato perso
L’approccio filosofico si condensa nel termine pratyabhijna, che significa “riconoscimento”. Secondo questa visione, l’essere umano ha dimenticato la propria vera natura – non per colpa o peccato, ma per gioco della coscienza stessa. Il mondo, con le sue forme e i suoi movimenti, è il velo e al tempo stesso lo specchio in cui la coscienza si riflette. La liberazione non è un traguardo futuro, ma un risveglio improvviso.
«Come una regina che, per gioco, si traveste da mendicante, così la coscienza si cela in ogni forma e attende di essere riconosciuta» – Tantraloka.
In questo riconoscimento, la dualità svanisce. Non c’è più dentro e fuori, io e mondo, spirito e materia. C’è solo una vastità silenziosa e presente che include ogni cosa.
I testi: mappe per il cuore
La tradizione si fonda su testi poetici, criptici e folgoranti. Il Vijnana Bhairava Tantra, ad esempio, non è un trattato filosofico, ma una raccolta di 112 meditazioni per penetrare il mistero dell’istante. In esso troviamo indicazioni paradossali, intime, essenziali:
«Osserva il cielo infinito, senza pensiero. In quello spazio aperto, appare la tua vera natura.»
Non ci viene chiesto di fare nulla, se non di esserci. Totalmente. Questo è il cuore della pratica: l’apertura incondizionata all’esperienza così com’è.
Un cammino radicalmente umano
Lo Shivaismo del Kashmir non propone tecniche rigide. Ogni gesto può essere un portale. Una camminata silenziosa, una carezza, il gusto di un frutto, una risata improvvisa. Tutto è occasione di risveglio, se vissuto con presenza. È un cammino profondamente umano, che non rifiuta il corpo, ma lo ascolta come luogo sacro.
Per questa ragione, oggi, scrittori contemporanei come Éric Baret hanno riscoperto e trasmesso questo insegnamento in chiave diretta e sensoriale. Nella sua scuola, lo yoga non è uno sforzo ma un abbandono: nessuna correzione, nessuna forma da raggiungere. Solo ascolto, vibrazione, resa.
«Non c’è nulla da cambiare. Nulla da migliorare. Solo da lasciare essere ciò che è già perfetto nella sua imperfezione» – Éric Baret
Perché oggi? Perché adesso?
In una società iperattiva, frammentata e cronica nel controllo, questa tradizione rappresenta un’antidoto potente. Ci invita a smettere di cercare altrove, a fermarci, a sentire. Non si tratta di fuggire dal mondo, ma di entrarci con uno sguardo nuovo. Dove l’ordinario si trasfigura, e ogni gesto può diventare meditazione.
«In ogni suono, nel profumo, nel piacere, nel dolore, nel contatto, nella forma: lì, in ogni cosa, dimora la Presenza. Per chi sa vedere.» – Vijnana Bhairava Tantra
Non è una via per tutti. È una via per chi è stanco di aspettare. Per chi ha il coraggio di abitare la vita così com’è, senza aggiungere niente. E da lì, da quel vuoto pieno, riconoscere il Sé che non è mai nato e mai si dissolverà.