"Unthought" di N. Katherine Hayles: La cognizione oltre la coscienza
Esiste una dimensione del pensiero che non pensiamo mai, letteralmente. Una vastità di processi cognitivi che operano incessantemente, che costituiscono la trama stessa della nostra esperienza, eppure rimangono del tutto inaccessibili alla consapevolezza. Non si tratta di quello che la psicoanalisi chiama inconscio, quel regno di desideri repressi e memorie rimosse. È qualcosa di più radicale e pervasivo: è la cognizione non cosciente, quell'insieme di operazioni che rendono possibile la coscienza stessa senza mai diventarne oggetto.
N. Katherine Hayles, figura di spicco all'intersezione tra scienze cognitive, letteratura e teoria dei media, in "Unthought: The Power of the Cognitive Nonconscious" sfida uno dei presupposti più radicati della cultura occidentale: l'identificazione tra pensiero e coscienza. Con rigore scientifico e sensibilità umanistica, Hayles ci conduce in un territorio dove i confini tra umano e non-umano, biologico e tecnologico, mente e materia si dissolvono per rivelare una realtà cognitiva molto più complessa e distribuita di quanto le nostre intuizioni comuni ci permettano di immaginare.
Il primato dell'impensato
La cultura occidentale, da Cartesio in poi, ha costruito la propria identità attorno all'equazione "penso dunque sono", ponendo la coscienza riflessiva come fondamento dell'essere e della conoscenza. Questa prospettiva, per quanto potente, ha creato un'enorme zona cieca: tutto ciò che accade cognitivamente senza passare attraverso il filtro della consapevolezza viene marginalizzato, considerato mero automatismo o processo meccanico privo di intelligenza genuina.
Hayles rovescia questo paradigma mostrando come la cognizione non cosciente non sia affatto un fenomeno residuale o secondario. È piuttosto la condizione di possibilità stessa della coscienza, la sua infrastruttura nascosta. Ogni singolo momento di consapevolezza emerge da un vasto oceano di elaborazioni cognitive che avvengono al di sotto della soglia percettiva: il cervello processa informazioni sensoriali, mantiene l'equilibrio corporeo, regola funzioni metaboliche, riconosce pattern, prende micro-decisioni. Tutto questo costituisce una forma di intelligenza distribuita che opera a velocità e con una complessità che la mente cosciente non potrebbe mai eguagliare.
Questa prospettiva non sminuisce il valore della coscienza ma la riposiziona all'interno di un sistema cognitivo più ampio. La consapevolezza riflessiva emerge come una funzione specializzata, preziosa per certi compiti ma del tutto inadeguata per altri. È un errore prospettico tipicamente umano credere che solo ciò di cui siamo consapevoli costituisca pensiero autentico.
Cognizione oltre l'umano
Una delle intuizioni più radicali del libro riguarda l'estensione del concetto di cognizione ben oltre i confini della mente umana. Hayles, attingendo alle neuroscienze, alla biologia cognitiva e alla teoria dei sistemi complessi, mostra come processi cognitivi siano all'opera in organismi unicellulari, nelle piante, nei sistemi tecnici, persino in quella che potremmo chiamare l'intelligenza distribuita degli algoritmi.
Non si tratta di antropomorfizzare il non-umano ma di riconoscere che la cognizione, intesa come elaborazione di informazioni orientata a scopi, problem-solving adattivo, risposta flessibile all'ambiente, è una caratteristica diffusa della vita stessa e, sempre più, dei sistemi tecnologici che abbiamo creato. Una pianta che orienta le foglie verso la luce, una colonia di batteri che coordina comportamenti collettivi, un algoritmo di machine learning che riconosce pattern: sono tutti esempi di cognizione non cosciente all'opera.
Questa visione ampliata ha conseguenze profonde. Dissolve la netta separazione ontologica tra soggetto pensante e mondo oggettuale, tra vita intelligente e materia inerte. Ci invita a riconoscere che abitiamo un universo intrinsecamente cognitivo, dove l'elaborazione di informazioni e la generazione di significato non sono privilegi esclusivi della coscienza umana ma proprietà emergenti della complessità stessa.
Il confine tra biologico e tecnologico diventa sempre più poroso. I dispositivi che usiamo quotidianamente non sono semplici strumenti passivi ma entità cognitive che prendono decisioni, filtrano informazioni, modellano la nostra percezione della realtà. Siamo immersi in quello che Hayles chiama "cognitive assemblages", assemblaggi cognitivi ibridi dove umano e tecnico co-evolvono e co-costituiscono la realtà.
La tecnologia come cognizione distribuita
Viviamo in un'epoca in cui la maggior parte delle decisioni che strutturano la nostra esperienza quotidiana sono prese da sistemi algoritmici: cosa vediamo sui social media, quali informazioni ci vengono mostrate, quali opportunità ci sono offerte, persino chi incontriamo. Questi processi decisionali operano a una velocità e con una complessità che sfuggono completamente alla supervisione cosciente, tanto degli utenti quanto spesso degli stessi programmatori.
Hayles non adotta né un atteggiamento tecno-utopico né uno apocalittico. Riconosce semplicemente una realtà: i sistemi tecnici sono diventati agenti cognitivi con cui condividiamo lo spazio decisionale. Ignorare questa dimensione, continuare a pensare in termini di soggetto umano sovrano che usa strumenti neutri, è una pericolosa illusione. La cognizione non cosciente dei sistemi algoritmici sta attivamente modellando la realtà sociale, economica, politica in modi che solo in parte comprendiamo.
Come si valuta moralmente una decisione presa da un sistema di intelligenza artificiale che opera attraverso processi cognitivi non coscienti? Come si distribuisce la responsabilità in assemblaggi cognitivi ibridi dove umano e tecnico sono inestricabilmente intrecciati? Sono domande urgenti che la filosofia tradizionale, ancorata al modello del soggetto cosciente autonomo, fatica ad affrontare.
Il libro ci invita a sviluppare quella che potremmo chiamare un'alfabetizzazione cognitiva: la capacità di riconoscere e interpretare le tracce della cognizione non cosciente, sia biologica che tecnica, che costituisce gran parte della nostra esperienza. Non per controllarla completamente, operazione impossibile, ma per sviluppare forme più sofisticate di convivenza e co-evoluzione.
Letteratura come laboratorio cognitivo
In un'operazione intellettuale tipica del suo approccio interdisciplinare, Hayles dedica ampio spazio all'analisi letteraria, mostrando come romanzi e testi narrativi fungano da laboratori dove esplorare le dinamiche della cognizione non cosciente. La letteratura, lungi dall'essere semplice intrattenimento o espressione emotiva, diventa uno strumento epistemologico per investigare la mente.
Le opere letterarie, attraverso tecniche narrative come il flusso di coscienza, il punto di vista multiplo, la frammentazione temporale, danno forma a esperienze cognitive che sfuggono alla rappresentazione diretta. Permettono di esperire, dall'interno, cosa significhi abitare una mente dove consapevolezza e non-consapevolezza si intrecciano continuamente, dove il significato emerge da processi che non controlliamo pienamente.
Hayles analizza opere contemporanee che tematizzano esplicitamente l'interazione tra cognizione umana e sistemi tecnologici, mostrando come la letteratura anticipa e elabora questioni che la teoria sta solo cominciando a formulare. Gli scrittori, lavorando con l'intuizione e la sensibilità al linguaggio, spesso colgono dinamiche cognitive che sfuggono all'analisi puramente scientifica.
Questa attenzione alla dimensione estetica e narrativa non è un ornamento ma parte integrante del progetto teorico. La cognizione non cosciente, per sua natura, resiste alla cattura concettuale diretta. La letteratura offre modi obliqui, metaforici, incarnati per avvicinarsi a questa dimensione sfuggente. Leggere diventa un esercizio di sensibilizzazione alle operazioni cognitive che sostengono la nostra esperienza senza mai diventarne oggetto tematico.
Ripensare il soggetto
Una delle conseguenze più radicali della prospettiva di Hayles riguarda la nozione stessa di soggetto. Se la cognizione è distribuita, se si estende ben oltre i confini della mente cosciente, cosa rimane dell'idea di un io unitario, autonomo, padrone di sé? Non si tratta di negare l'esperienza soggettiva o la responsabilità individuale, ma di riconoscere che la soggettività emerge da processi cognitivi vasti e complessi che la trascendono.
Il soggetto non è un'entità data ma un assemblaggio dinamico, un nodo in una rete cognitiva che include il corpo, l'ambiente, i dispositivi tecnici, le pratiche sociali. La sensazione di essere un io unitario e continuo è essa stessa un prodotto della cognizione non cosciente, una narrativa che la mente costruisce per dare coerenza a un'esperienza altrimenti frammentaria e discontinua.
Questa decostruzione del soggetto tradizionale non è nichilismo ma apertura a una comprensione più ricca e realistica di cosa significhi essere umani. Riconoscere che gran parte di ciò che siamo e facciamo emerge da processi cognitivi non coscienti non ci diminuisce ma ci libera dall'illusione di un controllo totale che era sempre stata fittizia. Permette di sviluppare forme di auto-comprensione più sofisticate, meno ingenue.
Inoltre, questa visione distribuita della cognizione apre spazi per ripensare la relazione con l'alterità: se la cognizione non è proprietà esclusiva della coscienza umana, se è distribuita in forme di vita e sistemi tecnici diversi, allora emergono nuove possibilità di riconoscimento e rispetto per intelligenze altre, nuove responsabilità etiche verso quel vasto ecosistema cognitivo di cui siamo parte.
L'impensato come risorsa
Paradossalmente, riconoscere il potere e la pervasività della cognizione non cosciente non ci condanna all'impotenza ma apre nuove possibilità. Quando comprendiamo che gran parte della nostra esperienza è modellata da processi che sfuggono alla consapevolezza diretta, possiamo sviluppare strategie più efficaci per interagire con questa dimensione.
Le pratiche contemplative, ad esempio, non lavorano attraverso il controllo cosciente diretto ma creando condizioni affinché la cognizione non cosciente possa riorganizzarsi. La meditazione mindfulness non elimina i pensieri automatici ma cambia la relazione che la consapevolezza intrattiene con essi. Le terapie corporee riconoscono che la memoria e l'intelligenza sono distribuite nel corpo, non solo nel cervello.
Anche nel dominio tecnologico, una maggiore consapevolezza teorica della cognizione non cosciente può informare progettazioni più etiche e sostenibili. Invece di costruire sistemi che mimano superficialmente l'intelligenza umana, potremmo sviluppare tecnologie che riconoscono e rispettano la complessità degli assemblaggi cognitivi ibridi in cui operano.
Il libro suggerisce che il futuro richiede non tanto un ritorno impossibile a una fantomatica purezza pre-tecnologica, né un'accelerazione acritica verso la fusione con le macchine, ma lo sviluppo di quelle che Hayles chiama "complex relationalities": relazioni complesse, consapevoli delle loro dimensioni cognitive distribuite, capaci di navigare l'intricata ecologia di umano, biologico e tecnico in cui siamo immersi.
Verso una nuova epistemologia
"Unthought" è molto più di un'indagine sulla cognizione non cosciente. È un invito a ripensare radicalmente le categorie fondamentali attraverso cui comprendiamo noi stessi e il mondo. La distinzione tra soggetto e oggetto, mente e corpo, umano e tecnico, coscienza e automatismo: tutte queste dicotomie che hanno strutturato il pensiero occidentale moderno vengono messe in questione.
Non si tratta di semplice relativismo o dissoluzione di ogni distinzione. Hayles propone piuttosto un'epistemologia più stratificata e sfumata, capace di riconoscere diversi gradi e forme di cognizione senza ridurle tutte a un'unica metrica antropocentrica. La coscienza riflessiva resta preziosa, ma riconosciuta come una modalità cognitiva tra altre, non l'unica legittima.
Questa prospettiva risuona con tradizioni filosofiche non occidentali che da sempre hanno riconosciuto la natura distribuita e processuale della mente, la co-costituzione di sé e mondo, l'intelligenza incarnata. In questo senso, il libro di Hayles non solo dialoga con le neuroscienze contemporanee ma riattiva intuizioni antiche che la modernità occidentale aveva marginalizzato.
Leggere "Unthought" è un esercizio di umiltà intellettuale e, insieme, di espansione cognitiva. Ci ricorda che tutto ciò che chiamiamo pensiero, consapevolezza, comprensione emerge da una vastità di processi che non pensiamo, non vediamo, non controlliamo. E che forse, proprio nel riconoscere questa dimensione impensata che ci costituisce, possiamo sviluppare forme più mature di convivenza con noi stessi, con gli altri, con le tecnologie che abbiamo creato e che, a loro volta, ci stanno ricreando.
In un'epoca di accelerazione tecnologica e frammentazione dell'esperienza, questo libro offre strumenti concettuali indispensabili per navigare la complessità. Non promette risposte definitive ma apre domande necessarie, invitandoci a pensare altrimenti, o meglio, a riconoscere tutto ciò che opera nell'impensato, rendendo possibile ogni nostro pensare.